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Quando ho incontrato Marco Pannella, non sapevo bene cosa aspettarmi. Ero pronto a conoscere un politico, ma mi sono trovato di fronte a un poeta. Già, perché Giacinto, noto come Marco, aveva un modo di parlare che sfidava la banalità e si elevava sopra il chiacchiericcio politico. In quel settembre del 2014, in una Genova pervasa da un profumo misto di mare e tabacco, ho capito che stavo per assistere a qualcosa di unico: non un’intervista, ma una confessione, una predica laica, un grido di libertà.
Un incontro indimenticabile
La cornice era quella della comunità di San Benedetto al Porto, fondata da don Andrea Gallo, il prete dei poveri. Pannella, nonostante la sua salute compromessa, emanava un’energia contagiosa. La sua voce, roca e profonda, si faceva sentire con la potenza di un fiume in piena: «Curo due tumori con due scatole di sigari al giorno. Il fumo mi salva dalla malattia». Un’affermazione che fa riflettere, vero? Il suo modo di affrontare la vita era un’incredibile manifestazione di resilienza. Non si trattava solo di sopravvivere, ma di vivere con intensità, con una sfida continua alla mediocrità.
Un messaggio di resistenza
Pannella non era lì per parlare di sé, ma per l’Italia, per quei referendum che considerava delle armi sacre. «Votare dovrebbe essere un dogma», mi disse. Con gli occhi sempre in movimento, mi ha fatto capire che non andare a votare era il peccato più grande, un abbandono della democrazia. Nell’aria c’era un’atmosfera di attesa: una raccolta firme per un referendum sul fine vita, un tema delicato e controverso. Era tornato da Roma, entusiasta dopo un incontro con Papa Francesco, un Papa che, a suo dire, era un radicale. E quindi, un compagno di battaglia.
La dolcezza della lotta
La sua visione della politica era intrisa di dolcezza e determinazione. Pannella parlava di alleanze improbabili: «Radicali e cristiani da sempre e tante volte vincono insieme». Per lui, la politica non era solo un gioco di potere, ma un campo di battaglia per le idee. E c’era qualcosa di poetico nel suo approccio, come quando citava le donne cattoliche del sud, quelle che lottarono per il divorzio e per il diritto all’aborto. La sua voce, con quel misto di ironia e serietà, mi ha fatto capire che la lotta per la libertà richiede un cuore aperto e una mente pronta a sognare.
Un pensiero oltre il presente
Nell’intervista, Marco si interruppe spesso, non per mancanza di parole, ma per riflessioni profonde. Parlava dei Papi e delle loro visioni, dal Giovanni XXIII a Francesco, tutti uniti da un ideale di giustizia e misericordia. «La vita è troppo breve per essere piccoli», mi disse a un certo punto, lasciandomi senza parole. Era un uomo che, nonostante la malattia, non smetteva di combattere. La sua lotta era per tutti, per un’Italia che potesse essere più giusta, più libera, più radicale.
Un testamento di libertà
Marco Pannella è morto nel 2016, ma le sue parole vivono ancora. Ogni volta che ascolto quella vecchia cassetta, mi rendo conto che il suo sogno di un’Italia più libera è ancora presente. La democrazia è la liturgia più sacra, e quel sorriso che lui portava, un sorriso che non temeva nulla, nemmeno la morte, continua a brillare. Era un inno alla disobbedienza, un canto di libertà. La poesia della politica, quella che lui ha incarnato, è un’eredità che non possiamo dimenticare.
Marco Pannella ci ha lasciato una lezione importante: non importa quanto sia difficile la lotta, è fondamentale continuare a sognare e a combattere per un futuro migliore. La poesia della vita, della politica, è in ogni sussurro che si oppone al silenzio, in ogni voto espresso con convinzione. E così, mentre il suo ricordo rimane vivo, la sua eredità continua a ispirare generazioni future.