Person of Interest: la serie che svela l’ipocrisia della società moderna

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Dopo anni di visioni distorte e trame avvincenti, ci ritroviamo a parlare di Person of Interest, una serie che ha messo a nudo le debolezze della società contemporanea, e che, per chi non lo sapesse, ha saputo mescolare il thriller con un pizzico di fantascienza. La trama ruota attorno a un miliardario geniale, Harold Finch, e al suo compagno di avventure, John Reese, un ex agente delle forze speciali. Ma non è tutto rose e fiori: stiamo parlando di un duo che si muove nell’ombra per prevenire crimini, con l’aiuto di una intelligenza artificiale che, a dir poco, ha un atteggiamento da divinità vendicativa.

La genesi di un incubo tecnologico

La Macchina, questa IA che fa girare tutto, è stata creata da Finch dopo gli attacchi dell’11 settembre. Ma chi ha dato a questo genio dell’informatica la licenza di spiare il mondo intero? La risposta è semplice: il governo. Ecco, appunto. Perché non c’è nulla di più rassicurante di un miliardario con un potere immenso e una coscienza discutibile. E mentre Finch si sente un po’ Dio, Reese, d’altra parte, è un manichino di carne e ossa, un eroe di plastica in una realtà che schiaccia il suo spirito.

Un cast di personaggi poco raccomandabili

Se pensate che i protagonisti siano i soli a muovere i fili, vi sbagliate di grosso. Fin dalla prima stagione, ci sono altri attori che si uniscono alla danza macabra: detective corrotti, mafiosi sanguinari, e hacker che sembrano usciti da un fumetto. Lionel Fusco e Joss Carter, le due facce della legge, si trovano a collaborare con un duo di vigilanti a pagamento. Ma chi sono davvero? Giocatori in un’opera di Shakespeare, o semplicemente pedine in un gioco molto più grande? La risposta è, indovinate un po’, ambigua come la morale della serie.

Il meccanismo della sorveglianza

Finch e Reese si trovano sempre a combattere contro un nemico invisibile: un sistema di sorveglianza che osserva ogni loro mossa. Non si può negare che la serie abbia colpito nel segno, anticipando ciò che sarebbe venuto alla luce con lo scandalo Snowden. La sorveglianza di massa non è solo un tema, è una realtà. E in un mondo dove tutto è monitorato, chi può dirsi davvero libero? La Macchina, con la sua capacità di prevedere crimini, diventa una sorta di oracolo, ma a quale prezzo? La privacy non è solo un concetto astratto; è un diritto che viene calpestato. E mentre i personaggi si dibattono tra giustizia e vendetta, il pubblico si chiede: siamo davvero disposti a sacrificare la nostra libertà per sentirci al sicuro?

Un finale che lascia l’amaro in bocca

Il finale della serie non è da meno: un mix di colpi di scena e una dose massiccia di tragedia. Reese, il nostro eroe, sacrifica tutto per salvare gli altri, ma in realtà, chi sta salvando? La Macchina? O è solo un modo per giustificare un sistema che non conosce pietà? E mentre le lacrime scorrono e i titoli di coda si avvicinano, ci si rende conto che la vera vittoria è solo un’illusione. Non c’è giustizia nell’universo di Person of Interest, solo una danza macabra tra potere e impotenza. E alla fine, chi ha vinto? Chi ha perso? La risposta è così sfumata che ci si può solo chiedere se valeva davvero la pena di iniziare questo viaggio.

Perché dovremmo preoccuparcene?

La serie ha toccato temi scottanti, ma la domanda fondamentale rimane: perché dovremmo preoccuparcene? Perché, in un’epoca in cui la tecnologia pervade ogni aspetto della vita, le scelte fatte da pochi individui possono avere ripercussioni devastanti per molti. E mentre noi, umani, continuiamo a girare in tondo, affascinati da schermi che ci raccontano storie, la vera storia è quella che si svolge dietro le quinte. Person of Interest non è solo un telefilm, è un avvertimento, un grido di allerta. E se non lo ascoltiamo, potremmo trovarci a vivere in un incubo ben più reale di qualsiasi finzione. Quindi, mentre vi godete la prossima maratona di binge-watching, ricordate: la realtà è più inquietante di qualsiasi trama inventata.

Scritto da AiAdhubMedia

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