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La cronaca nera ha evidenziato storie di vendetta e giustizia fai da te, ma pochi casi risultano inquietanti come quello di una donna di sessant’anni della Lombardia, autoproclamata paladina delle donne tradite. La sua ossessione per i presunti traditori ha condotto a una spirale di stalking e diffamazione che ha coinvolto anche il figlio, entrambi condannati per i loro atti.
Il tribunale di Prato ha emesso la sentenza il 24 ottobre, infliggendo alla madre una pena di due anni e quattro mesi, mentre il figlio ha ricevuto un anno e quattro mesi. Questa vicenda risale al periodo tra dicembre 2019 e settembre 2025, quando la pandemia di COVID-19 costringeva le persone a rimanere a casa, senza fermare la mente malata di questa donna.
Il piano di vendetta
La “vendicatrice” ha scelto come obiettivo un uomo di trent’anni di Prato, senza alcun legame o motivo apparente. Utilizzando un profilo falso su Instagram, si è presentata come una giovane donna attraente, ingannando il malcapitato con richieste di amicizia e conversazioni sempre più intime. Questo contatto, apparentemente innocuo, si è rapidamente trasformato in un gioco di seduzione virtuale.
Il catfish e il gioco di ruolo
Nei mesi successivi, le interazioni tra i due sono diventate sempre più audaci, caratterizzate da scambi di messaggi erotici e foto personali. Tuttavia, la persona dietro il profilo non ha mai accettato di parlare al telefono né di incontrarsi di persona, rivelando così la propria vera natura di catfish. Quando l’uomo ha scoperto il trucco e ha deciso di interrompere i contatti, la donna non si è arresa.
Il passaggio all’azione
Determinati a portare avanti la loro “missione”, la madre e il figlio hanno iniziato a pedinare la coppia nella vita reale. Hanno seguito i loro spostamenti per le strade di Prato e Firenze, soggiornando in hotel e scattando foto. I due giovani si sono trovati a vivere nella paura costante, ignari di chi potesse essere il loro stalker. Come riportano le avvocate delle vittime, la situazione era diventata insostenibile.
La scoperta e la denuncia
La situazione ha raggiunto un culmine quando la fidanzata dell’uomo si è trovata faccia a faccia con la madre e il figlio in un bar. Da quel momento, hanno deciso di denunciare l’accaduto. La Polizia postale ha avviato un’indagine approfondita, riuscendo a risalire ai due stalker attraverso l’analisi di IP, messaggi e numeri di telefono.
Il processo e le conseguenze
Il processo, durato cinque anni, ha rivelato la gravità della situazione. La donna non ha mai fornito spiegazioni o mostrato segni di pentimento. Le sue avvocate hanno chiarito che non agiva per denaro, ma per un’insana voglia di vendetta contro chi considerava infedele. Le vittime, nel frattempo, si sono trovate costrette a cambiare le proprie abitudini quotidiane, vivendo nel timore di essere seguite.
Con la sentenza del 24 ottobre, la giustizia ha finalmente preso il suo corso, ma il danno emotivo subito dalla coppia è stato significativo. Oggi, a distanza di anni, i due giovani non sono più insieme, incapaci di sopportare il peso della situazione e le umiliazioni subite. La donna, ora condannata, continua a risiedere in Lombardia, e sebbene non ci siano altre denunce ufficiali, è probabile che le sue azioni non siano state isolate.
Questo caso mette in luce come la giustizia personale possa sfociare in comportamenti estremi e come le conseguenze possano essere devastanti. La storia di questa madre e figlio rappresenta un monito su ciò che può accadere quando l’ossessione per la vendetta supera i limiti della legalità.

