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Negli ultimi anni, la realtà virtuale (VR) ha emergere non solo come tecnologia all’avanguardia, ma anche come modo innovativo di fruire il cinema. I registi, un tempo focalizzati su opere per schermi bidimensionali, ora possono plasmare mondi tridimensionali in cui il pubblico diventa parte integrante della narrazione.
Questo cambiamento radicale è stato al centro di eventi come Art*VR, una rassegna annuale dedicata alla narrazione immersiva, svoltasi al DOX Centro d’arte contemporanea di Praga. Giunta alla sua terza edizione, la manifestazione ha presentato una varietà di opere che esplorano temi come i diritti umani e l’intelligenza artificiale, dimostrando come gli artisti stiano ridefinendo l’immagine in movimento nell’era della VR.
I fatti
All’interno del museo, le tradizionali esposizioni artistiche hanno lasciato il posto a un’atmosfera inedita. Le pareti bianche, solitamente affollate di opere, ora ospitano visitatori che indossano visori VR, immersi in esperienze individuali. Alcuni si muovono silenziosamente, mentre altri si sistemano in piccole aree designate, come sedie o tappeti, per vivere momenti intimi e privati in un contesto collettivo.
Questa nuova configurazione ha permesso opere di registi come Domenico Singha Pedroli e Patrick Muroni di esplorare temi profondi attraverso la VR. Entrambi, noti per il loro approccio poetico e introspectivo, utilizzano questo medium per affrontare questioni esistenziali e invitare gli spettatori a percepire la realtà non solo con gli occhi, ma anche con il corpo.
Un viaggio attraverso il tempo e lo spazio
Pedroli, con un background in architettura, ha sempre indagato temi come l’esilio e la memoria. La sua opera precedente, Au Revoir Siam, ha messo in luce le esperienze di rifugiati thailandesi in Francia, sovrapponendo mappe storiche a scene contemporanee. “L’architettura mi ha insegnato a modellare l’esperienza del tempo e dello spazio”, afferma. Questo approccio si riflette anche nella sua nuova opera VR, Another Place, dove il pubblico fluttua tra Parigi e Bangkok, vivendo in prima persona la storia di Renée, una giovane donna trans in cerca di asilo.
Renée si muove in una Parigi che si confonde con elementi di Bangkok, dove l’architettura ripetitiva e i dettagli familiari creano un ambiente disorientante. Pedroli ha utilizzato una tecnica di split-screen per rappresentare le diverse temporalità, mentre la voce di Renée guida gli spettatori attraverso le sue emozioni e esperienze, rendendo la narrazione aperta all’interpretazione.
La libertà della notte in Rave
Al contrario, Patrick Muroni esplora la libertà che il buio della notte offre ai giovani in Rave. La sua opera si sviluppa attorno all’atmosfera di attesa e di connessione che precede un evento. “La notte è un momento di libertà”, afferma Muroni, cresciuto in un piccolo villaggio e con esperienze di feste nei boschi, lontano dalle grandi manifestazioni.
In Rave, il regista non si limita a raccontare una festa, ma crea uno spazio dove il movimento e la musica permettono a ciascun partecipante di immergersi in un’esperienza collettiva. “Volevo che i partecipanti fossero attivi, non solo spettatori”, spiega. La sfida di Muroni è quella di ricreare la sensazione di comunità e connessione all’interno di un’esperienza individuale di VR.
Un nuovo orizzonte per il cinema
Le opere di Pedroli e Muroni dimostrano come la realtà virtuale possa ampliare i confini del cinema tradizionale, trasformando l’esperienza visiva in un viaggio interattivo. Mentre il cinema convenzionale presenta una narrazione fissa, la VR offre un racconto fluido, esplorabile e immersivo. Questa evoluzione suggerisce che il cinema non è al termine della sua corsa, ma piuttosto all’inizio di un’era in cui gli spettatori diventano protagonisti delle storie che vivono.

